Il soggetto mobbizzato in genere ha 40/45 anni, cioè è spesso assimilato dall’azienda ad un lavoratore anziano, quindi più un costo che un vantaggio. Un lavoratore giovane ha meno pretese, si adatta di più alle condizioni aziendali, spesso accetta in silenzio anche i soprusi pur di mantenere il posto.
Ancora più a rischio è l’età 55/60: molti sono spinti alla pensione anticipata.
Il mobbing è uno stress negativo fortissimo, cui ognuno risponde in maniera soggettiva: sviluppa sintomi fisici e vede compromesso il suo equilibrio psicologico, con conseguenze anche a livello delle relazioni personali e amicali.
Prima reazione, tipica: autocolpevolizzazione. Cosa ho fatto?
Gli attori del mobbing non sono solo l’azienda e la vittima, ma anche l’intera collettività: se la vittima si ammala, ciò avrà un costo per il sistema sanitario nazionale, per i farmaci e il supporto psico-sociale; se va in pensione prima del tempo, ciò peserà sul sistema previdenziale; se l’azienda subisce danni economici / di produttività, ciò si rifletterà sul prodotto interno lordo.
Personalmente ho scoperto di essere resiliente: non significa non vivere il dolore, quello proprio no, ma trovare dentro di sé le risorse per poterlo superare, senza sentirsi sopraffatti.
“E’ nella crisi che emerge il meglio di ognuno, perché senza crisi tutti i venti sono solo lievi brezze” (Albert Einstein).
Invece che rifugiarmi in un esaurimento emotivo senza scampo e optare per la passività, non voglio essere remissiva, non voglio non ribellarmi, sento la necessità di dire la mia, di uscire dal coro dei vinti. Nel mio piccolo, nella mia sfera microscopica.
Dobbiamo essere tutti rassegnati e deboli?